giovedì 23 maggio 2013

Tabella delle permutazioni di un accordo di settima

Nel precedente post  "Le permutazioni delle triadi" ho illustrato che cosa sono le permutazioni di un accordo e come si costruiscono.

In questo post pubblico invece una tabella nella quale sono riassunte le novantasei permutazioni di un accordo di DO7 che possono essere costruite rimanendo nell'ambito di un'ottava.

Queste permutazioni possono essere applicate a qualsiasi accordo a quattro parti.

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martedì 21 maggio 2013

Le Permutazioni della Triade

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LE PERMUTAZIONI DELLE TRIADI
di Mad Mat

1 Il concetto di permutazione

Una triade offre all'improvvisatore molteplici possibilità di sviluppo melodico. Tuttavia alcune delle cellule melodiche che possono essere costruite con le tre note di una triade non sempre appaiono immediatamente evidenti per effetto dell'abitudine, derivata dallo  studio degli aspetti verticali dell'armonia, a considerare la triade nella forma degli arpeggi ascendenti e discendenti.


Con questo approccio limitativo i frammenti melodici costruiti sulla triade si riducono a sequenze alternativamente ascendenti o discendenti di intervalli di terza e/o di quarta.
In realtà le note di una triade, anche se considerate nell'ambito di una sola ottava, consentono di costruire frammenti melodici di tre note contenenti intervalli di terza, quarta, quinta e sesta con direzione anche alternata.
Per elaborare in maniera sistematica le cellule melodiche che possono essere costruite con le note di una triade, è utile applicare in ambito musicale il concetto matematico della permutazione: uno strumento concettuale che aiuta ad individuare tutte le possibilità di sviluppo melodico insite in un insieme limitato di note.
Nel calcolo combinatorio (la branca della matematica che studia i modi per raggruppare e ordinare secondo date regole gli elementi di un insieme finito di oggetti) la permutazione di un insieme di oggetti viene definita come un particolare ordinamento (ossia una particolare sequenza o combinazione) degli elementi di cui si compone quell'insieme nel quale ogni oggetto viene presentato una ed una sola volta.
Considerando le tre note di una triade come un insieme di oggetti, è possibile definire le permutazioni delle note della triade come le possibili sequenze o combinazioni delle note della triade, nelle quali ogni nota appare una ed una sola volta.
In questo articolo le permutazioni delle note della triade saranno chiamate semplicemente “permutazioni della triade”.

2 La costruzione delle permutazioni della triade di DO maggiore

Al fine di illustrare il procedimento che permette di individuare tutte le permutazioni di una triade, procederemo a costruire le diciotto permutazioni della triade di DO maggiore ossia tutte le possibili sequenze di tre note nelle quali è presente una sola volta ciascuna delle note della triade di DO maggiore.

2.1 Le posizioni delle note all'interno della permutazione

Ogni permutazione presenta tre posizioni  nelle quali si può trovare ciascuna nota della triade.



2.2 Le categorie delle permutazioni basate sullo stato della triade

Le permutazioni della triade si distinguono in tre categorie a seconda dello stato dell'accordo sul quale sono costruite.
Si avranno pertanto:
- permutazioni costruite sullo stato fondamentale della triade
- permutazioni costruite sul primo rivolto della triade
- permutazioni costruite sul secondo rivolto della triade.

2.3 Le permutazioni costruite sullo stato fondamentale della triade

La costruzione delle permutazioni della triade di DO maggiore non può che partire dall'arpeggio ascendente delle note dell'accordo nello stato  fondamentale.

2.3.1 La prima permutazione
La prima permutazione è rappresentata dall'arpeggio ascendente della triade di DO maggiore nello stato fondamentale


2.3.2 La seconda permutazione

Per costruire la seconda permutazione manteniamo la nota che nella prima permutazione si trova nella prima posizione ed invertiamo quelle che stanno nella seconda e nella terza posizione.


2.3.3 La terza permutazione

Con le prime due permutazioni abbiamo esaurito le possibili sequenze, costruite sullo stato fondamentale della triade, nelle quali la prima nota è rappresentata da DO. 
Per costruire la terza permutazione dobbiamo, pertanto, invertire la nota che nella prima permutazione si trova nella prima posizione con quella che sta nella seconda posizione.




2.3.4 La quarta permutazione

Per costruire la quarta permutazione manteniamo la nota che nella terza permutazione si trova nella prima posizione ed invertiamo quelle che stanno nella seconda e nella terza posizione.



2.3.5 La quinta permutazione

La terza e la quarta permutazione esauriscono le sequenze, costruite sullo stato fondamentale della triade, nelle quali la prima nota è rappresentata da MI.
Per costruire la quinta permutazione dobbiamo, quindi,
- sostituire la nota che nella prima permutazione si trova nella prima posizione con quella che sta nella terza posizione
- spostare il DO dalla prima alla seconda posizione
trasferire il MI dalla seconda alla terza posizione.



2.3.6 La sesta permutazione

Per costruire la sesta permutazione manteniamo la nota che nella quinta permutazione si trova nella prima posizione ed invertiamo le note che nella quinta permutazione stanno nella seconda e nella terza posizione.



2.4 Le permutazioni costruite sul primo rivolto della triade

Poiché le sei permutazioni sopra illustrate esauriscono tutte le possibili sequenze costruite sullo stato fondamentale della triade è necessario passare all'individuazione delle permutazioni basate sul primo rivolto attraverso un procedimento analogo a quello utilizzato in precedenza.

2.4.1 La settima permutazione (prima permutazione sul primo rivolto)

La settima permutazione è rappresentata dall'arpeggio ascendente del primo rivolto della triade di DO maggiore.


2.4.2 L'ottava permutazione (seconda permutazione sul primo rivolto)

Per costruire l'ottava permutazione manteniamo la nota che nella settima permutazione (ossia la prima permutazione costruita sul primo rivolto) si trova nella prima posizione ed invertiamo quelle che stanno nella seconda e nella terza posizione.



2.4.3 La nona permutazione (terza permutazione sul primo rivolto)

Con la settima e l'ottava permutazione abbiamo esaurito le possibili sequenze, costruite sul primo rivolto della triade, nelle quali la prima nota è rappresentata da MI. 
Per costruire la nona permutazione dobbiamo, pertanto, invertire la nota che nella settima permutazione (ossia la prima permutazione costruita sul primo rivolto) si trova nella prima posizione con quella che sta nella seconda posizione.



2.4.4 La decima permutazione (quarta permutazione sul primo rivolto)

Per costruire la decima permutazione manteniamo la nota che nella nona permutazione si trova nella prima posizione ed invertiamo quelle che stanno nella seconda e nella terza posizione.



2.4.5 L'undicesima permutazione (quinta permutazione sul primo rivolto)

La nona e la decima permutazione esauriscono le sequenze, costruite sul primo rivolto della triade, nelle quali la prima nota è rappresentata da SOL. 
Per costruire l'undicesima permutazione dobbiamo, quindi,
- sostituire la nota che nella settima permutazione (ossia la prima permutazione costruita sul primo rivolto) si trova nella prima posizione con quella che sta nella terza posizione
- spostare il MI dalla prima alla seconda posizione
- trasferire il SOL dalla seconda alla terza posizione.



2.4.6 La dodicesima permutazione (sesta permutazione sul primo rivolto)

Per costruire la dodicesima permutazione manteniamo la nota che nell'undicesima permutazione si trova nella prima posizione ed invertiamo le note che stanno nella seconda e nella terza posizione.



2.5 Le permutazioni costruite sul secondo rivolto della triade

Esaurite anche tutte le possibili sequenze costruite sul primo rivolto della triade, non rimane che elaborare le permutazioni del secondo rivolto.

2.5.1 La tredicesima permutazione (prima permutazione sul secondo rivolto)

La tredicesima permutazione è rappresentata dall'arpeggio ascendente del secondo rivolto della triade di DO maggiore.



2.5.2 La quattordicesima permutazione (seconda permutazione sul secondo rivolto)

Per costruire la quattordicesima permutazione manteniamo la nota che nella tredicesima permutazione (ossia la prima permutazione costruita sul secondo rivolto) si trova nella prima posizione ed invertiamo quelle che stanno nella seconda e nella terza posizione.



2.5.3 La quindicesima permutazione (terza permutazione sul secondo rivolto)

Con la tredicesima e la quattordicesima permutazione abbiamo esaurito le possibili sequenze, costruite sul secondo rivolto della triade, nelle quali la prima nota è rappresentata da SOL. 
Per costruire la quindicesima permutazione dobbiamo, pertanto, invertire la nota che nella tredicesima permutazione (ossia la prima permutazione costruita sul secondo rivolto) si trova nella prima posizione con quella che sta nella seconda posizione.


2.5.4 La sedicesima permutazione (quarta permutazione sul secondo rivolto)

Per costruire la sedicesima permutazione manteniamo la nota che nella quindicesima permutazione si trova nella prima posizione ed invertiamo quelle che stanno nella seconda e nella terza posizione.



2.5.5 La diciassettesima permutazione (quinta permutazione sul secondo rivolto)

La quindicesima e la sedicesima permutazione esauriscono le sequenze, costruite sul secondo rivolto della triade, nelle quali la prima nota è rappresentata da DO. 
Per costruire la diciassettesima permutazione dobbiamo, quindi,
- sostituire la nota che nella tredicesima permutazione (ossia la prima permutazione costruita sul secondo rivolto) si trova nella prima posizione con quella che sta nella terza posizione
- spostare il SOL dalla prima alla seconda posizione
- trasferire il DO dalla seconda alla terza posizione.



2.5.6 La diciottesima permutazione (sesta permutazione sul secondo rivolto)

Per costruire la diciottesima permutazione manteniamo la nota che nella diciassettesima permutazione si trova nella prima posizione ed invertiamo le note che stanno nella seconda e nella terza posizione.



3 Le permutazioni delle triadi minori, diminuite ed eccedenti.

Il procedimento che è stato utilizzato per costruire le permutazioni della triade maggiore deve essere applicato anche alle triadi minori, diminuite ed eccedenti.
Si possono così ad individuare 
- 18 permutazioni della triade maggiore
- 18 permutazioni della triade minore
- 18 permutazioni della triade diminuita
- 18 permutazioni della triade eccedente.
Per effetto della loro struttura intervallare simmetrica, le permutazioni della triade eccedente di una tonalità sono identiche a quelle delle due tonalità che si trovano sopra e sotto ad un intervallo di terza maggiore (es. DO = MI = SOL#).

4 Le tavole delle permutazioni delle triadi maggiori, minori, diminuite ed eccedenti.

Nelle pagine seguenti riportiamo le tavole riassuntive di tutte le permutazioni delle triadi maggiori, minori, diminuite ed eccedenti di DO.

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5 Esercizi per memorizzare le permutazioni delle triadi ai fini dell'improvvisazione

Di seguito vengono suggeriti alcuni esercizi per assimilare tutte le permutazioni di una triade.
La finalità di questi esercizi è quella di rendere “chiare in testa e nell'orecchio” e “fluide nelle mani” tutte le possibili cellule melodiche fornite dalle permutazioni delle triade.

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Il primo esercizio (es.1) consiste nel suonare in sequenza tutte le permutazioni di una triade che abbiano come prima nota la fondamentale di quella triade.
Il secondo esercizio (es.2) consiste nel suonare in sequenza tutte le permutazioni di una triade che abbiano come prima nota la terza di quella triade.
Il terzo esercizio (es.3) consiste nel suonare in sequenza tutte le permutazioni di una triade che abbiano come prima nota la quinta di quella triade
Gli esercizi 1, 2 e 3 sono scritti soltanto con riferimento alla triade di DO maggiore ma devono essere suonati in tutte le tonalità ed oltre che con le triadi maggiori anche con le triadi minori, diminuite ed eccedenti.

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Un secondo gruppo di esercizi consiste nel suonare tutte le permutazioni delle triadi (o quanto meno quelle con le quali si ha meno confidenza):
a) in “progressione modulante”
b) in “progressione tonale” sulle scale maggiori, minori melodiche e minori melodiche.
La “progressione modulante” è il procedimento mediante il quale un disegno melodico chiamato “modello” viene riprodotto sugli stessi gradi di scale diverse.
La “progressione tonale” è, invece, il procedimento mediante il quale un disegno melodico chiamato “modello” viene riprodotto su diversi gradi della stessa scala.
a) Suonare una certa permutazione della triade “in progressione modulante” significa dunque suonare quella permutazione in tutte le tonalità, procedendo per semitoni prima in senso ascendente e poi discendente.
Gli esercizi 4, 5 e 6 a pagina 19 illustrano il procedimento della “progressione modulante” applicato rispettivamente alla prima, alla diciassettesima ed alla decima permutazione della triade maggiore.
Lo stesso procedimento deve (o quanto meno può) essere applicato a ciascuna delle altre quindici permutazioni della triade maggiore ed a tutte le diciotto permutazioni delle triadi minori, diminuite ed eccedenti.

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B) Suonare una certa permutazione della triade “in progressione tonale” significa invece suonare quella permutazione, partendo da tutti i gradi di una certa scala ma utilizzando soltanto le note in essa presenti. Ne consegue che la scala “detta” il tipo di triade da utilizzare (maggiore, minore, diminuita o eccedente) per ogni grado, in base alle note presenti nella scala stessa.
Gli esercizi 7, 8 e 9 a pagina 20 illustrano il procedimento della progressione tonale costruita sulla scala di DO maggiore applicato rispettivamente alla prima, alla diciassettesima ed alla decima permutazione della triade maggiore.

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Gli esercizi 10, 11 e 12 a pagina 21 illustrano il procedimento della progressione tonale costruita sulla scala di DO minore melodica applicato rispettivamente alla prima, alla diciassettesima ed alla decima permutazione della triade maggiore.

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Gli esercizi 13, 14 e 15 a pagina 22 illustrano il procedimento della progressione tonale costruita sulla scala di DO minore armonica applicato rispettivamente alla prima, alla diciassettesima ed alla decima permutazione della triade maggiore.

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Il procedimento della progressione tonale deve (o comunque può) essere applicato in tutte le tonalità, a tutte le diciotto permutazioni.

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Tutti gli esercizi sopra illustrati devono essere suonati a memoria con il metronomo, partendo da tempi molto lenti (70/80 bpm) e aumentando la velocità solo quando le progressioni sono state ben memorizzate e possono essere suonate  senza alcuna incertezza.


My Funny Valentine e Miles Smiles - Due Capolavori del Secondo Quintetto di Miles Davis e il Ruolo di Ron Carter (Tesi di Laurea di Carlo Alberto Danieli)

Pubblico con molto piacere questa interessantissima opera con la quale il mio caro amico e valente contrabbassista Carlo Alberto Danieli si è laureato in Jazz al Conservatorio Venezze di Rovigo.

Per scaricare il pdf  premere "download" nella barra che si trova sotto le pagine del libro nella finestra di scribd qui sotto.


C.A. Danieli - My Funny Valentine e Miles Smiles. Due capolavori del secondo quintetto di Miles Davis e il... by WeirdCollector

domenica 19 maggio 2013

Il Mio Jazz - Lezione di Paolo Fresu



Il 17 ed il 18 settembre 2011 Radio Rai 3 ha trasmesso una "Lezione di Musica" tenuta da Paolo Fresu, intitolata "Il Mio Jazz".

Nella prima parte della trasmissione Fresu ha raccontato il percorso musicale che lo ha portato a diventare un musicista jazz mentre nella seconda ha illustrato che cosa sia lo swing e come lo stesso nasca dall'interazione reciproca dei diversi modi di stare sul tempo dei membri di un gruppo musicale.

Se vi siete persi la trasmissione, potete ascoltarla in podcast cliccando sui seguenti link

Ascolta la Prima Parte

Ascolta la Seconda Parte

Ascolta la Terza Parte

Ascolta la Quarta Parte

Jerry Bergonzi - I Libri della Collana "Inside Improvisation"



Una serie di opere indispensabili per chiunque voglia 
studiare con serietà l'arte dell'improvvisazione

Inside Improvisation: volumi da 1 - 7 su Scribd

Mauro Negri Parla di Improvvisazione



A prescindere dai risultati dei referendum pubblicati sulle riviste specializzate, Mauro Negri è senza ombra di dubbio uno dei dieci migliori clarinettisti jazz al mondo nonchè un ottimo sassofonista. Attualmente insegna ai Corsi di Jazz dei Conservatori di Rovigo e di Mantova ed a Siena Jazz.
Riporto qui un articolo nel quale Mauro Negri espone alcune delle sue idee generali sull'improvvisazione e sullo studio.

IMPROVVISAZIONE
(di Mauro Negri)

Capita spesso di dover spiegare cos'è l'improvvisazione a chi non fa parte del mondo jazzistico. La frase più frequente che mi sento dire è: " ... se non ho la parte davanti non so cosa fare, se devo improvvisare mi blocco". Comprendo benissimo ciò che prova un musicista che ha passato la maggior parte del suo tempo a leggere musica, senza mai provare ad improvvisare, ma non c'è niente di male in tutto questo, non necessariamente un musicista deve saper improvvisare. Il Jazz è un genere musicale meraviglioso, ma resta sempre un tipo di musica in mezzo a tanti altri.
Duke Ellington diceva: " ... ci sono due tipi di musica ... , la musica bella e la musica brutta". Se immaginiamo le note come parole, le regole armoniche come la grammatica, la velocità delle parole come la durata delle note e il suono di uno strumento come la nostra voce, scopriamo molte similitudini e abbiamo un'immagine più chiara dell'improvvisazione musicale. Trovo che "improvvisazione musicale" sia il termine più corretto perché "improvvisazione" è un termine generico.
Quando scriviamo una lettera o un sms improvvisiamo, quando giochiamo a pallone improvvisiamo, quando facciamo l'amore improvvisiamo, ma soprattutto improvvisiamo quando parliamo, improvvisiamo con le parole rispettando la grammatica (si spera). Per tranquillizzare coloro che si sentono bloccati davanti alla possibilità di improvvisare vorrei che immaginassero di imporre ad un bimbo che inizia a dire le sue prime parole di leggere sempre ciò che deve dire, pronunciare cose anche difficili ma sempre leggendo o imparando a memoria ciò che è scritto. Pronunciando ogni frase leggendola, una frase per ogni situazione.
Dopo 30 anni di lettura e di frasi imparate a memoria chiediamo al bimbo diventato adulto di smettere di leggere, di dire le cose che ha imparato a memoria, bensì di incominciare a parlare improvvisando con le parole, dicendo ciò che sente di dire con parole sue, ovviamente sempre rispettando la grammatica, controllando il tono della voce e stando attento al ritmo. Questo bimbo cresciuto risponderebbe: " ... se non ho il foglio davanti non so cosa fare, se devo improvvisare con le parole mi blocco".
Dobbiamo cominciare piano piano, un passo alla volta, iniziando semplicemente a suonare il nostro strumento pensando di commentare ciò che i nostri occhi guardano, senza pensare ad armonie o strutture, massima libertà di espressione. Non importa se suoniamo lentamente o velocemente, tante note o poche note, ciò che importa è "fabbricare" musica. Questo è il primo passo!
Ogni accordo ha una o più scale dì riferimento secondo il contesto armonico in cui è inserito. Se analizziamo gli accordi uno ad uno otteniamo un lavoro sommario perché il loro valore cambia a seconda di cosa abbiamo prima e dopo. Anche una parola può avere un significato diverso secondo il contesto. Se analizziamo la parola "porta", che significato gli diamo? Potrebbe essere una voce del verbo "portare", o il nome di una cosa, "la porta" di casa. Osservando cosa precede e cosa segue la parola "porta" scopriamo il suo vero significato. Es: " ... ho aperto la porta". Oppure: "porta un amico alla festa".
Quindi, ogni accordo ha la sua scala o le sue scale di riferimento con le quali improvvisiamo. Per ogni scala abbiamo sette note
Con l'improvvisazione su una struttura abbiamo la possibilità di creare in maniera estemporanea della musica che fino ad un attimo prima non c'era. Sappiamo come iniziamo ma quello che succede dopo è imprevedibile, perchè in tempo reale. Ci sono troppe variabili per poter prevedere dove si dirige la musica, questo è il fascino del Jazz fatto con certi crismi! Per fare un esempio, se il pianista varia ritmicamente l'accompagnamento il solista lo può seguire accettando e seguendo questo "input" che gli è stato dato, lo stesso discorso può accadere tra batterista e bassista, tra solista e bassista e così via. Ecco perché parlavo di ·variabili".
È molto importante comunicare con gli altri musicisti sul palco, anche solo attraverso ammiccamenti, sguardi, ecc ... , ovviamente i musicisti della "front line" (saxofonisti, clarinettisti, trombettisti, trombonisti, ecc ... , difficilmente riescono a guardare la ritmica durante un "solo". Tuttavia possono voltarsi ogni tanto per interagire visualmente con i partner. Più fattibile è per i musicisti della ritmica, i quali dovrebbero tenersi in contatto visivo costantemente. La classica forma del Jazz prevede l'esecuzione di un tema costruito, per esempio, su 32 misure, con una griglia di accordi (armonia). La partenza può avvenire con un'introduzione, scritta o improvvisata.
Dopo l'esposizione della melodia, il "giro" (la struttura del brano) ricomincia, il solista di turno improvvisa su quella struttura di 32 misure, rispettando le trame armoniche e il numero di battute, creando una nuova melodia, "improvvisazione", che può essere fatta di note lunghe, frasi velocissime o anche di pause tra una frase e l'altra, massima libertà rispettando la struttura e gli accordi, sempre dialogando con gli altri musicisti che dividono quel momento con lui. Una volta concluso il "giro", chi sta facendo il "solo" può decidere di fermarsi lasciando il campo ad un altro solista o di continuare con un altro "giro". Quando i "soli" sono finiti, viene ripreso il tema per concludere il brano.
Ovviamente questo è un canovaccio di partenza che può e deve avere delle modifiche. /I tema potrebbe essere esposto solo alla fine, iniziando ad improwisare sugli accordi. O eseguire il tema senza tempo, in maniera libera (free ballad), e così via. Può succedere anche che gli accordi del tema non siano gli stessi su cui si va ad improvvisare. Talvolta le melodie sono costruite su armonie talmente complicate che si preferisce improvvisare su una griglia di accordi differente, per permettere ai solisti di essere meno matematici, ingabbiati in armonie molto vincolanti. Si può decidere di improvvisare addirittura su un "pedale", cioè un basso ostinato sul quale si possono costruire altre armonie improwisando insieme.
C'è molta libertà nell'organizzare e arrangiare un brano. anche in maniera estemporanea. Ovviamente tutto cambia quando dobbiamo arrangiare scrivendo delle parti per una formazione più articolata e complessa. Chi scrive un arrangiamento desidera che le parti vengano rispettate e non cambiate. In questo caso perdiamo un po' d'imprevedibilità nei temi, ma nell'improvvisazione tutto può tornare alla libertà di cui parlavamo prima. Personalmente cerco di dare molta importanza al lato creativo del Jazz, quello armonico basato su regole abbastanza complicate non è meno importante e va rispettato fino in fondo, ma alla fine ciò che vince è il "feeling".
Se si chiedeva a Miles Davis cosa pensava di un certo musicista rispondeva che aveva o non aveva "feeling". AI giorno d'oggi la maggior parte dei mùsicisti di Jazz è in possesso di una straordinaria tecnica e di un buon suono, ma la cosa che dobbiamo capire è se un musicista è interessante o meno. Capire se le cose che suona sono un po' diverse da quelle che fanno gli altri, se riesce a sorprendere, se ci arriva diretto, se riesce a graffiare l'anima. Credo in un Jazz fatto di "interplay" e imprevedibilità, in un Jazz quasi privo di "patterns", dobbiamo cercare di "giocare" con le note del nostro centro tonate, senza prefissarci di suonare questa o quella frase copiata da qualche nostro idolo. Evitiamo la "globalizzazione" della musica.
Ogni solista deve cercare di suonare nella sua maniera; evitando l'uso dei "patterns" è più possibile conseguire questo risultato. Detesto per contro quel Jazz dove non succede niente, dove la ritmica è al servizio del solista come se fosse una base, può essere veramente noioso! L'improvvisazione può essere meravigliosa ed eccitante ma anche noiosa e troppo difficile da capire, ma sarà sempre irripetibile! Un "solo" è un racconto che deve essere condiviso con i musicisti che suonano con noi, ogni strumentista dice la sua con le note, con l'intenzione, con la pronuncia, con il suono e anche con il corpo.
È importante essere a "nudo" nei confronti del pubblico, il pubblico è importantissimo, può dare gioie immense ma può dare anche delusioni e far percepire fallimenti. Non bisogna mai sottovalutare chi ci ascolta, non dobbiamo mai pensare di non essere capiti se non da intenditori: è un grande errore! Generalmente è difficile che in una sala ci sia una parte del pubblico che applaude e una parte che fischia o che non applaude. C'è sempre molta unanimità nell'esprimere approvazione o delusione. /I pubblico è come un enorme testa che racchiude un pensiero, un giudizio, un'esaltazione, un rimprovero, un trionfo ...
Rispettiamo il pubblico perché è intelligente e si accorge subito se siamo sinceri o se siamo posati. Lasciate che il corpo vada dove l'istinto chiama e dove la musica lo porta. Parliamo con il pubblico, scherziamoci e rendiamolo partecipe, il nostro comportamento impacciato diventerà più disinvolto. Improvvisare davanti a delle persone può essere qualcosa di divino se lo facciamo in maniera sincera. L'improvvisazione è una creazione in tempo reale, chi ci guarda e ci ascolta non solo assiste ma partecipa rendendo tutto più significativo.
Un concerto generalmente si fa in 3. Quelli che sono sul palco, quelli che ci ascoltano, quelli che ci amplificano. Questi ultimi hanno la possibilità di esaltare un concerto o di rovinarlo. L'improvvisazione è libertà e condivisione all'interno di una struttura.

Velocità e tempi di studio

Non dobbiamo avere fretta di imparare, lasciamo che le note e gli esercizi entrino gradualmente nelle nostre dita, nella lingua, nella testa, nella gola, nel corpo. Meglio studiare mezz'ora concentrati su quello che stiamo facendo, ragionando su ogni singola nota, che applicarsi ore in maniera passiva pensando a come sarebbe bello uscire in bicicletta. L'applicazione quotidiana è importante, ma se per qualche giorno non riusciamo a studiare, non disperiamo, a volte il cervello e le dita hanno bisogno di una pausa. Dobbiamo essere degli studiosi curiosi, interessati e perché no, anche ricercatori.
È preferibile creare un percorso da seguire fino alla fine. Una volta trovato, iniziamolo senza aver fretta di concluderlo. Non dobbiamo studiare in maniera "Ieopardata", a macchie, se cominciamo un esercizio, anche se molto difficile, dobbiamo completarlo prima di passare a qualcos'altro, in questo modo ciò che apprendiamo resta dentro di noi a lungo, se iniziamo tanti esercizi senza finirli, dopo poco vengono dimenticati. Sarebbe come cominciare a leggere tanti libri senza finirli: in futuro ne avremmo un ricordo sommario; se ne leggiamo uno sino in fondo quello sarà un libro di cui avremo un fervido ricordo. Ma un conto è la curiosità, l'interesse e la ricerca, essere maniaci dello studio è ben altra cosa!
La musica è fatta anche di cose che non si conoscono ma che si sentono e si percepiscono, che si suonano e che non si possono spiegare. Non possiamo sapere tutto e non possiamo essere invincibili o i numeri uno tecnicamente; ci sarà sempre qualcuno più veloce di noi. Quindi, entrare in questo vortice ammazzandoci di studio e soffrire quando per un giorno non riusciamo ad applicarci è sbagliato! Cito una frase bellissima tratta dal film "Mr. Holland Opus": "II troppo studio danneggia l'anima".
Come facciamo a sorprenderei se sappiamo tutto? Ammesso che sia possibile! L'applicazione deve essere una cosa intima, lo dobbiamo fare per il piacere di sentire il nostro corpo tutt'uno con lo strumento il quale deve diventare un'appendice del nostro corpo che ci dona la possibilità di fare musica e di condividerla con gli altri. Fino a quando abbiamo la sensazione di avere in mano uno strumento da controllare e da dominare non potremo divertirci a fare musica. Applicarsi significa aumentare il controllo dello strumento, più lo controlliamo e più la nostra mente è libera per dedicarsi alla musica che facciamo. Gli automatismi aumentano con lo studio costante.
Cerchiamo di ottenere il massimo da noi stessi. Questo non significa che siamo obbligati a suonare tante note quando improvvisiamo, tuttavia, se il motore della nostra auto è in possesso di molti cavalli, la qualità sarà maggiore e non necessariamente dobbiamo superare i limiti di velocità! Se decidiamo di viaggiare a 50 km l'ora la nostra auto ci darà affidabilità e non farà nessuna fatica, insomma, viaggiamo rilassati!

Il Metronomo

L'uso del metronomo è BASILARE. Gli esercizi vanno affrontati sempre ad una velocità ridotta per poi aumentarli gradualmente. Posizionare il metronomo sul secondo e sul quarto movimento, se suoniamo in 4/4, è più swingante. Se suoniamo in 3/4 mettiamolo sul primo quarto o su tutti. Quando studiamo un passaggio impegnativo generalmente tendiamo ad accelerare, quindi, mentre eseguiamo il passo facciamo un'accelerazione naturale di alcune tacche di metronomo senza accorgercene. Quando decidiamo di aumentare la velocità per la seconda "studiata" senza utilizzare il metronomo, a orecchio diciamo, aumentiamo troppo la velocità. In questa maniera la gradualità di studio è persa!

Posizioniamo quindi il metronomo ad una velocità che ci permetta di eseguire tutto l'esercizio senza problemi; quando ci sentiamo sicuri possiamo aumentare di una tacca e rifare tutto da capo e così via fino ad arrivare alla nostra massima velocità. Più lenti partiremo e più veloci andremo. Ci sembrerà di suonare sempre alla stessa velocità perché il passaggio di una tacca di metronomo è quasi impercettibile. Così facendo l'esercizio sarà assimilato perfettamente. Se nell'esercizio vi è un passaggio che non risulta perfetto come gli altri, isoliamolo e facciamo lo stesso lavoro solo su quelle poche note. Se ci segniamo la velocità alla quale siamo arrivati, il giorno dopo potremo tentare di battere il nostro "record" personale ma solo dopo aver ricominciato l'esercizio partendo dall'inizio, tacca dopo tacca. Ripeto, non dobbiamo avere fretta!

Posizione (per clarinettisti e sassofonisti)

Durante lo studio cercate di non far compiere alle dita troppa escursione e di non pigiarle troppo contro le chiavi. Cosi eviterete danneggiamenti ed irrigidimenti alle nervature e nel contempo lo studio sarà assimilato meglio. Tra l'altro stando leggeri sui buchi del clarinetto potrete sentire la vibrazione delle note sotto i vostri polpastrelli, è molto piacevole e stimolante! Cerchiamo di non spostare i polsi, spalle o quant'altro mentre studiamo, meno spostamenti facciamo e più saremo precisi. È sempre consigliabile studiare nella posizione da concerto, nel mio caso in piedi. Quando sono molto stanco mi siedo ma evito di appoggiare lo strumento sulla gamba.

Il suono

Il suono è un'onda elastica, ha bisogno di un mezzo per propagarsi (aria, acqua ecc.) e di una sorgente (corpo vibrante). Quindi, il suono è un modo di trasmissione di energia meccanica che, irradiandosi dalla sorgente attraverso un mezzo di propagazione arriva ai corpi riceventi. Un suono è tanto più forte quanto è l'ampiezza delle oscillazioni della sorgente che lo genera. È la grandezza che permette di distinguere i suoni deboli da quelli forti.
Il timbro invece rappresenta la qualità del suono e dipende essenzialmente dalla sua forma d'onda. Permette di distinguere suoni da sorgenti diverse, anche se hanno la stessa frequenza e la medesima intensità. Ogni strumento musicale ha un timbro diverso ma anche tra strumenti dello stesso tipo (due clarinetti per esempio) ci possono essere timbri diversi. Con un adeguato studio possiamo intervenire su queste caratteristiche, modificando il timbro del nostro strumento e controllandone l'intensità, il volume.
Il risultato che dobbiamo conseguire è quello di avere un suono più armonico possibìle; più armonici possiede il nostro suono e più la qualità e l'incisività aumentano. E di avere un volume (intensità) consistente. Per il volume vale il discorso fatto riguardo alla velocità di esecuzione, tecnica e meccanica: non necessariamente se abbiamo un grande volume di suono siamo obbligati a suonare forte. Tuttavia se dessimo un valore al nostro volume massimo, per esempio 100, significa che a 70 avremmo il controllo del suono senza fare particolari sforzi. Per contro, se il nostro volume massimo fosse 60, a 50 saremmo quasi al massimo. Personalmente credo che il suono debba essere più personale possibile.
Tutti gli strumenti hanno un loro classico suono dal quale non possiamo prescindere, almeno completamente. Ciò non toglie che ogni musicista possa trovare una sonorità vicina alla sua personalità e alla sua sensibilità. Il suono del clarinettista Benny Goodman era molto classico e cristallino, mentre quello di Jimmy Giuffre era il contrario, molto soffiato ed intenso. Entrambi riconoscibili nel timbro del clarinetto.
Se possiamo ottenere diverse sonorità con un solo strumento è giusto farlo. Un cantante non ha solo un timbro, può cantare gridando, sussurrando, in maniera rauca, facendo uscire una voce nasale o renderla più ricca. Ci sono musicisti che si indignano sentendo uno strumento che si allontana dai canoni ortodossi del suo timbro. E poi, chi se la sente di dire qual è il vero suono di uno strumento? A mio avviso anche nella musica classica ci si dovrebbe muovere verso nuove sonorità anzichè restare aggrappati al suono "classico".
Questo è già stato fatto da molti compositori di musica contemporanea, con alcuni dei quali ho avuto la fortuna di collaborare. Quando Mozart nel 1791 componeva il concerto in LA maggiore per clarinetto e orchestra, s'ispirava al timbro del clarinetto che sentiva allora. Se fosse ancora in vita mi piacerebbe chiedergli se avesse continuato a far suonare il suo concerto con lo stesso suono di clarinetto! Probabilmente, visto che era un ragazzo sveglio, sarebbe affascinato da tutte le sonorità che si sono ottenute dopo la sua scomparsa!
Consiglio a tutti coloro che suonano strumenti a fiato ed a cantanti di osservare una correttissima respirazione diaframmatica, un argomento al quale bisognerebbe dedicare molte pagine per la sua grandissima importanza.

La Perfetta Imboccatura del Sassofono Secondo Joe Allard



Joe Allard è stato uno dei più grandi insegnanti di sassofono di tutti i tempi.Tra i suoi innumerevoli allievi ha avuto giganti come Michael Brecker, David Liebman, Steve Grossman, Eddie Daniels, Eric Dolphy, Harry Carney, Bob Berg, Don Byron e anche il nostro Maurizio Giammarco.

Sul sito http://www.joeallard.org si trova del preziosissimo materiale in inglese riguardante Joe Allard. Alla pagina "Pedagogy" vengono illustrati vari aspetti del suo metodo di insegnamento.

In questo post pubblico la mia traduzione in italiano di un capitolo della tesi di laurea di Debra Jean McKim intitolata Joseph Allard: His Contributions to Saxophone Pedagogy and Performance, nel quale viene illustrata la concezione dell'imboccautra di Joe Allard e che trovate in versione originale sul sito.


L'imboccatura secondo Joe Allard

Nel processo di formazione di una corretta imboccatura per il sassofono vengono generalmente considerati quattro elementi essenziali: i denti superiori, il labbro superiore, i denti inferiore ed il labbro inferiore.

Alcuni insegnanti trattano separatamente ciascuno di questi quattro elementi. Altri ignorano del tutto alcuni di essi.

Nella didattica e nel modo di suonare, Joe Allard ha sempre prestato la massima attenzione a tutti i quattro elementi, considerandoli nei loro rapporti reciproci.

Secondo Joe Allard, il labbro ed i denti superiori hanno la funzione di opporre resistenza alla pressione esercitata dal labbro e dai denti inferiori.

Allard ha spesso parafrasato la terza legge della dinamica di Newton: “ad ogni azione  corrisponde sempre una reazione uguale e contraria”. Pertanto se un corpo esercita una certa forza, un altro deve opporsi ad essa.

Nella concezione dell'imboccatura di Joe Allard, i denti inferiori della mascella sono il corpo che esercita la forza mentre i denti superiori sono il corpo che si oppone ad essa.

I sostenitori di una certa impostazione dell'imboccatura largamente diffusa affermano che si deve applicare una pressione constante  tutt'intorno all'ancia ed al bocchino.

Larry Teal definisce quest'impostazione “imboccatura circolare” (embouchure wheel)  ed afferma  che  “le labbra dovrebbero formare un cerchio intorno al bocchino, esercitando su ogni punto una pressione pari a quella esercitata nella parte centrale, come se fossero una fascia elastica”.

Joe Allard fu indotto dalle proprie ricerche e sperimentazioni a confutare questa tesi.

Egli era convinto che  questo modo di imboccare, riducendo la vibrazione delle parti laterali dell'ancia, limitasse l'ampiezza dello spettro degli armonici del suono.

“Ho preso un elastico ed uno spago e li ho arrotolati intorno all'ancia. L'unico fenomeno che ho potuto osservare è stato che hanno ridotto la distanza dell'ancia sui lati e lasciato l'ancia aperta nella parte centrale".

Allard sosteneva la tesi opposta, secondo la quale la pressione deve essere esercitata nella parte centrale dell'ancia che è più rigida, in modo tale da permettere alle parti laterali di vibrare liberamente. In questo modo si genera una maggiore quantità di armonici e si produce un timbro più sonoro e vibrante.

Come esercizio finalizzato a contrastare la tendenza delle labbra a creare un cerchio intorno all'ancia ed al bocchino, Allard diceva agli allievi di appoggiare  l'indice ed il medio sul labbro inferiore ai lati del bocchino (formando una “V”) e di premere verso il basso per mantenere il labbro inferiore piatto. Questo esercizio evita che  il labbro comprima le parti laterali dell'ancia e rende il suono più libero.

Per fornire un supporto visivo a questo concetto, Allard diceva che l'imboccatura deve “adattarsi alla forma del bocchino”.

David Demsey ha scritto: “Ricordo ancora Joe che teneva in mano il bocchino con la punta rivolta verso di me e mi chiedeva: Ti sembra che sia rotondo? Chiaramanente la risposta era no. La superficie dell'ancia forma una base piatta. Joe voleva dimostrare che l'imboccatura doveva adattarsi alla forma del bocchino. …. Se assume una forma rotonda e curva, il labbro inarca le parti laterali dell'ancia e blocca il suono.”

Per evitare l'imboccatura “a sorriso” con il lati della bocca tesi indietro e verso l'alto, Joe Allard suggeriva agli allievi di pensare al labbro inferiore come se stessero mettendosi del burro cacao o del rossetto.

Nella naturale posizione di riposo il labbro superiore agli angoli della bocca si chiude leggermente sopra il labbro inferiore. Con la corretta imboccatura il labbro superiore svolge la stessa funzione: chiude  lo spazio lasciato dal labbro inferiore mantenuto piatto, evitando che fuoriesca aria dalla bocca.

Allard elaborò la propria teoria sul labbro superiore dopo aver osservato i musicisti che suonavano strumenti ad ancia doppia e i clarinettisti che usavano la tecnica del “doppio labbro”.

Allard notò una differenza fra queste due categorie di strumentisti: gli oboisti ed i fagottisti mantenevano il labbro superiore rilassato per permettere all'ancia superiore di vibrare; invece molti clarinettisti che usavano il “doppio labbro” spingevano il labbro superiore verso il basso.

Allard capì che quest'ultimo approccio determinava una limitazione e cercò di trovare un modo per suonare con il labbro superiore rilassato.

Anche se ammise di aver sperimentato  sul clarinetto una versione modificata dell'imboccatura “a doppio labbro” (soprattutto  dopo che fu costretto ad usare la dentiera), in definitiva Joe Allard utilizzò ed insegnò quella che un suo allievo ha definito “una versione a labbro singolo di un'imboccatura a labbro doppio”.

Con questa impostazione, simile all'imboccatura utilizzata dai musicisti che suonano strumenti ad ancia doppia, il labbro ed i denti superiori non  esercitano praticamente alcuna  pressione sulla parte superiore del bocchino.

Allard suggeriva agli allievi di esercitarsi per brevi periodi di tempo con il labbro superiore completamente sollevato dal bocchino. Quando il labbro superiore veniva nuovamente appoggiato sul bocchino, l'allievo doveva richiamare alla memoria la sensazione che aveva provato con il labbro rilassato e sollevato.

Dopo avere lavorato su questo esercizio molti allievi  avvertivano inizialmente una leggera perdita di aria dagli angoli della bocca quando suonavano normalmente.

Jack Snavely ricorda: “Quando gli chiesi chiarimenti sull'aria che fuoriusciva dai lati della bocca, mi disse che il problema si sarebbe risolto da solo. Allora capii che il mio labbro superiore finalmente faceva quello che faceva il labbro superiore di Joe: evitava la fuoriuscita di aria senza bloccare il suono."

Un esercizio simile veniva utilizzato anche per far comprendere quanta pressione i denti superiori dovessero esercitare sul bocchino.

Per far acquisire questa consapevolezza, Joe Allard chiedeva agli allievi di provare a suonare sollevando i denti superiori dal bocchino. Quando si suona senza i denti superiori appoggiati al bocchino non viene esercitata alcuna pressione verso il basso.

Allard diceva agli allievi di cercare di mantenere questa assenza di pressione anche quando suonavano con i denti appoggiati sul bocchino.

Per effetto della naturale conformazione del cranio umano, la spinta dei denti verso il basso comporta anche un piegamento in avanti della testa  che genera un restringimento della laringe e della gola.

La maggior parte degli allievi di Allard dicono di aver avuto questo problema e che Allard aveva creato degli esercizi proprio per contrastare la tendenza a spingere la testa verso il basso.

Un allievo ha ricordato questo esercizio di visualizzazione:
“Allard mi disse “quando ero bambino ed andavo a scuola, passavo davanti ad una macelleria e vedevo dei grandi pezzi di manzo appesi a degli uncini. Quegli uncini erano terribili.
Ora mettiti in piedi contro il muro con la testa a contatto con la parete. Pensa di avere uno di quei ganci da macellaio sotto il mento. Adesso suona una scala”. Joe mi fece visualizzare quell'uncino mentre mi esercitavo per farmi smettere di abbassare la testa”.

Allard insegnava gli allievi anche un esercizio fisico finalizzato ad evitare di restringere il collo, mantenendo la testa nella posizione più adeguata per suonare.

Questo esercizio è stato descritto da David Tofani “E' molto facile lasciare che la testa si appoggi sulla colonna vertebrale e col passare del tempo può accadere che le vertebre si comprimano. Ricordo che Joe si metteva in piedi dietro di me ed appoggiava le mani su ciascuna delle mie tempie e tirava letteralmente verso l'alto. Poi contava "1, 2, 3" ed io dovevo spingere la testa verso l'alto mentre lui la sollevava. In questo modo la testa si muoveva verso l'alto, come se il cranio dovessi staccarsi dalla spina dorsale…. Quando si suona la testa deve rimanere sospesa sulla parte più alta della spina dorsale in modo tale da non creare restringimenti nel collo …. Bisogna cercare il punto nel quale la testa rimane naturalmente sollevata”.

In generale i denti superiori e quelli inferiori devono stare nella loro “posizione naturale relativa”. Allard  usava due termini odontoiatrici per descrivere questa posizione: “asse cerniera” e  “posizione centrica”. Con questi termini si indica la conformazione normale della mandibola e del morso, nella quale si considera normale anche l'eventuale protrusione dell'arcata dentaria superiore (overbite) o di quella inferiore (underbite) che un individuo può presentare.

L'impostazione dell'imboccatura che viene spesso insegnata costringe l'allievo a spostare la mascella in modo tale che i denti superiori e quelli inferiori risultino allineati.

Invece mantenendo la “posizione centrica naturale”, come insegnava Allard, si evitano inutili tensioni determinate dalla necessità di tirare indietro o di spingere in avanti la mandibola.

Infatti, quando viene spostata fuori dall'asse cerniera, la mandibola  si chiude, crea una tensione sul collo e ne determina una restrizione.

Anche il posizionamento dei denti inferiori rispetto all'ancia è variabile ma il punto di riferimento è generalmente in concomitanza con il punto in cui l'ancia si allontana dal bocchino. Joe Allard chiamava questa zona il “punto cruciale” (crux).

L'applicazione di una pressione minima da parte dei denti superiori tiene conto del fatto che la pressione necessaria viene esercitata dall'azione combinata del labbro inferiore e della mascella.

Allard diceva di non applicare mai una pressione eccessiva dal basso verso l'alto e di usare soltanto la pressione necessaria a “sostenere l'ancia”. 

David Liebman  ha chiarito che con il concetto di “pressione sufficiente a sostenere l'ancia” Allard voleva indicare la "sensazione fisica di sostenere l'ancia piuttosto che il bocchino". 

Allard diceva agli allievi che per trovare la giusta misura della pressione dovevano sperimentare il movimento verticale della mandibola che si aziona masticando.

Lo scopo dell'esercizio consisteva nello sperimentare la sensazione della pressione esercitata con il labbro ed i denti inferiori piuttosto che con il solo labbro inferiore.

Liebman sostiene che la masticazione è un'estensione  dell'articolazione del linguaggio; infatti è impossibile pronunciare le lettere dell'alfabeto senza eseguire il movimento proprio della masticazione.

Allard faceva recitare ai suoi allievi le lettere dell'alfabeto per farli esercitare nel movimento della masticazione.

Un altro esercizio consisteva nel pronunciare la sillaba ”ex" per sperimentare la sensazione determinata dall'atto della masticazione.

Questi esercizi erano finalizzati ad aiutare l'allievo ad imparare a controllare l'ancia con l'azione combinata dei denti e del labbro inferiori.

Oltre che “sostenere l'ancia”, Allard insegnava ai suoi allievi a “sentire l'ancia con i denti”. In altre parole a percepire la pressione dell'ancia attraverso il labbro. Una pressione eccessiva determina la perdita di quella sensazione.

Joe Allard chiarì questo concetto con una analogia: i denti sono come i martelletti di legno del pianoforte. Il labbro è come il feltro che ricopre i martelletti. Il labbro, come il feltro, assorbe gli armonici più alti ed estremi con una naturale funzione fisiologica.

Poiché Joe Allard era alla costante ricerca della varietà timbrica  e di una espressività musicale individuale, il suo modo di concepire l'imboccatura era caratterizzato dalla flessibilità.

“Non esiste un solo suono ...... Bisogna essere in grado di suonare con più bocchino, meno bocchino, più labbro, meno labbro. Bisogna essere flessibili”.