domenica 19 maggio 2013

Mauro Negri Parla di Improvvisazione



A prescindere dai risultati dei referendum pubblicati sulle riviste specializzate, Mauro Negri è senza ombra di dubbio uno dei dieci migliori clarinettisti jazz al mondo nonchè un ottimo sassofonista. Attualmente insegna ai Corsi di Jazz dei Conservatori di Rovigo e di Mantova ed a Siena Jazz.
Riporto qui un articolo nel quale Mauro Negri espone alcune delle sue idee generali sull'improvvisazione e sullo studio.

IMPROVVISAZIONE
(di Mauro Negri)

Capita spesso di dover spiegare cos'è l'improvvisazione a chi non fa parte del mondo jazzistico. La frase più frequente che mi sento dire è: " ... se non ho la parte davanti non so cosa fare, se devo improvvisare mi blocco". Comprendo benissimo ciò che prova un musicista che ha passato la maggior parte del suo tempo a leggere musica, senza mai provare ad improvvisare, ma non c'è niente di male in tutto questo, non necessariamente un musicista deve saper improvvisare. Il Jazz è un genere musicale meraviglioso, ma resta sempre un tipo di musica in mezzo a tanti altri.
Duke Ellington diceva: " ... ci sono due tipi di musica ... , la musica bella e la musica brutta". Se immaginiamo le note come parole, le regole armoniche come la grammatica, la velocità delle parole come la durata delle note e il suono di uno strumento come la nostra voce, scopriamo molte similitudini e abbiamo un'immagine più chiara dell'improvvisazione musicale. Trovo che "improvvisazione musicale" sia il termine più corretto perché "improvvisazione" è un termine generico.
Quando scriviamo una lettera o un sms improvvisiamo, quando giochiamo a pallone improvvisiamo, quando facciamo l'amore improvvisiamo, ma soprattutto improvvisiamo quando parliamo, improvvisiamo con le parole rispettando la grammatica (si spera). Per tranquillizzare coloro che si sentono bloccati davanti alla possibilità di improvvisare vorrei che immaginassero di imporre ad un bimbo che inizia a dire le sue prime parole di leggere sempre ciò che deve dire, pronunciare cose anche difficili ma sempre leggendo o imparando a memoria ciò che è scritto. Pronunciando ogni frase leggendola, una frase per ogni situazione.
Dopo 30 anni di lettura e di frasi imparate a memoria chiediamo al bimbo diventato adulto di smettere di leggere, di dire le cose che ha imparato a memoria, bensì di incominciare a parlare improvvisando con le parole, dicendo ciò che sente di dire con parole sue, ovviamente sempre rispettando la grammatica, controllando il tono della voce e stando attento al ritmo. Questo bimbo cresciuto risponderebbe: " ... se non ho il foglio davanti non so cosa fare, se devo improvvisare con le parole mi blocco".
Dobbiamo cominciare piano piano, un passo alla volta, iniziando semplicemente a suonare il nostro strumento pensando di commentare ciò che i nostri occhi guardano, senza pensare ad armonie o strutture, massima libertà di espressione. Non importa se suoniamo lentamente o velocemente, tante note o poche note, ciò che importa è "fabbricare" musica. Questo è il primo passo!
Ogni accordo ha una o più scale dì riferimento secondo il contesto armonico in cui è inserito. Se analizziamo gli accordi uno ad uno otteniamo un lavoro sommario perché il loro valore cambia a seconda di cosa abbiamo prima e dopo. Anche una parola può avere un significato diverso secondo il contesto. Se analizziamo la parola "porta", che significato gli diamo? Potrebbe essere una voce del verbo "portare", o il nome di una cosa, "la porta" di casa. Osservando cosa precede e cosa segue la parola "porta" scopriamo il suo vero significato. Es: " ... ho aperto la porta". Oppure: "porta un amico alla festa".
Quindi, ogni accordo ha la sua scala o le sue scale di riferimento con le quali improvvisiamo. Per ogni scala abbiamo sette note
Con l'improvvisazione su una struttura abbiamo la possibilità di creare in maniera estemporanea della musica che fino ad un attimo prima non c'era. Sappiamo come iniziamo ma quello che succede dopo è imprevedibile, perchè in tempo reale. Ci sono troppe variabili per poter prevedere dove si dirige la musica, questo è il fascino del Jazz fatto con certi crismi! Per fare un esempio, se il pianista varia ritmicamente l'accompagnamento il solista lo può seguire accettando e seguendo questo "input" che gli è stato dato, lo stesso discorso può accadere tra batterista e bassista, tra solista e bassista e così via. Ecco perché parlavo di ·variabili".
È molto importante comunicare con gli altri musicisti sul palco, anche solo attraverso ammiccamenti, sguardi, ecc ... , ovviamente i musicisti della "front line" (saxofonisti, clarinettisti, trombettisti, trombonisti, ecc ... , difficilmente riescono a guardare la ritmica durante un "solo". Tuttavia possono voltarsi ogni tanto per interagire visualmente con i partner. Più fattibile è per i musicisti della ritmica, i quali dovrebbero tenersi in contatto visivo costantemente. La classica forma del Jazz prevede l'esecuzione di un tema costruito, per esempio, su 32 misure, con una griglia di accordi (armonia). La partenza può avvenire con un'introduzione, scritta o improvvisata.
Dopo l'esposizione della melodia, il "giro" (la struttura del brano) ricomincia, il solista di turno improvvisa su quella struttura di 32 misure, rispettando le trame armoniche e il numero di battute, creando una nuova melodia, "improvvisazione", che può essere fatta di note lunghe, frasi velocissime o anche di pause tra una frase e l'altra, massima libertà rispettando la struttura e gli accordi, sempre dialogando con gli altri musicisti che dividono quel momento con lui. Una volta concluso il "giro", chi sta facendo il "solo" può decidere di fermarsi lasciando il campo ad un altro solista o di continuare con un altro "giro". Quando i "soli" sono finiti, viene ripreso il tema per concludere il brano.
Ovviamente questo è un canovaccio di partenza che può e deve avere delle modifiche. /I tema potrebbe essere esposto solo alla fine, iniziando ad improwisare sugli accordi. O eseguire il tema senza tempo, in maniera libera (free ballad), e così via. Può succedere anche che gli accordi del tema non siano gli stessi su cui si va ad improvvisare. Talvolta le melodie sono costruite su armonie talmente complicate che si preferisce improvvisare su una griglia di accordi differente, per permettere ai solisti di essere meno matematici, ingabbiati in armonie molto vincolanti. Si può decidere di improvvisare addirittura su un "pedale", cioè un basso ostinato sul quale si possono costruire altre armonie improwisando insieme.
C'è molta libertà nell'organizzare e arrangiare un brano. anche in maniera estemporanea. Ovviamente tutto cambia quando dobbiamo arrangiare scrivendo delle parti per una formazione più articolata e complessa. Chi scrive un arrangiamento desidera che le parti vengano rispettate e non cambiate. In questo caso perdiamo un po' d'imprevedibilità nei temi, ma nell'improvvisazione tutto può tornare alla libertà di cui parlavamo prima. Personalmente cerco di dare molta importanza al lato creativo del Jazz, quello armonico basato su regole abbastanza complicate non è meno importante e va rispettato fino in fondo, ma alla fine ciò che vince è il "feeling".
Se si chiedeva a Miles Davis cosa pensava di un certo musicista rispondeva che aveva o non aveva "feeling". AI giorno d'oggi la maggior parte dei mùsicisti di Jazz è in possesso di una straordinaria tecnica e di un buon suono, ma la cosa che dobbiamo capire è se un musicista è interessante o meno. Capire se le cose che suona sono un po' diverse da quelle che fanno gli altri, se riesce a sorprendere, se ci arriva diretto, se riesce a graffiare l'anima. Credo in un Jazz fatto di "interplay" e imprevedibilità, in un Jazz quasi privo di "patterns", dobbiamo cercare di "giocare" con le note del nostro centro tonate, senza prefissarci di suonare questa o quella frase copiata da qualche nostro idolo. Evitiamo la "globalizzazione" della musica.
Ogni solista deve cercare di suonare nella sua maniera; evitando l'uso dei "patterns" è più possibile conseguire questo risultato. Detesto per contro quel Jazz dove non succede niente, dove la ritmica è al servizio del solista come se fosse una base, può essere veramente noioso! L'improvvisazione può essere meravigliosa ed eccitante ma anche noiosa e troppo difficile da capire, ma sarà sempre irripetibile! Un "solo" è un racconto che deve essere condiviso con i musicisti che suonano con noi, ogni strumentista dice la sua con le note, con l'intenzione, con la pronuncia, con il suono e anche con il corpo.
È importante essere a "nudo" nei confronti del pubblico, il pubblico è importantissimo, può dare gioie immense ma può dare anche delusioni e far percepire fallimenti. Non bisogna mai sottovalutare chi ci ascolta, non dobbiamo mai pensare di non essere capiti se non da intenditori: è un grande errore! Generalmente è difficile che in una sala ci sia una parte del pubblico che applaude e una parte che fischia o che non applaude. C'è sempre molta unanimità nell'esprimere approvazione o delusione. /I pubblico è come un enorme testa che racchiude un pensiero, un giudizio, un'esaltazione, un rimprovero, un trionfo ...
Rispettiamo il pubblico perché è intelligente e si accorge subito se siamo sinceri o se siamo posati. Lasciate che il corpo vada dove l'istinto chiama e dove la musica lo porta. Parliamo con il pubblico, scherziamoci e rendiamolo partecipe, il nostro comportamento impacciato diventerà più disinvolto. Improvvisare davanti a delle persone può essere qualcosa di divino se lo facciamo in maniera sincera. L'improvvisazione è una creazione in tempo reale, chi ci guarda e ci ascolta non solo assiste ma partecipa rendendo tutto più significativo.
Un concerto generalmente si fa in 3. Quelli che sono sul palco, quelli che ci ascoltano, quelli che ci amplificano. Questi ultimi hanno la possibilità di esaltare un concerto o di rovinarlo. L'improvvisazione è libertà e condivisione all'interno di una struttura.

Velocità e tempi di studio

Non dobbiamo avere fretta di imparare, lasciamo che le note e gli esercizi entrino gradualmente nelle nostre dita, nella lingua, nella testa, nella gola, nel corpo. Meglio studiare mezz'ora concentrati su quello che stiamo facendo, ragionando su ogni singola nota, che applicarsi ore in maniera passiva pensando a come sarebbe bello uscire in bicicletta. L'applicazione quotidiana è importante, ma se per qualche giorno non riusciamo a studiare, non disperiamo, a volte il cervello e le dita hanno bisogno di una pausa. Dobbiamo essere degli studiosi curiosi, interessati e perché no, anche ricercatori.
È preferibile creare un percorso da seguire fino alla fine. Una volta trovato, iniziamolo senza aver fretta di concluderlo. Non dobbiamo studiare in maniera "Ieopardata", a macchie, se cominciamo un esercizio, anche se molto difficile, dobbiamo completarlo prima di passare a qualcos'altro, in questo modo ciò che apprendiamo resta dentro di noi a lungo, se iniziamo tanti esercizi senza finirli, dopo poco vengono dimenticati. Sarebbe come cominciare a leggere tanti libri senza finirli: in futuro ne avremmo un ricordo sommario; se ne leggiamo uno sino in fondo quello sarà un libro di cui avremo un fervido ricordo. Ma un conto è la curiosità, l'interesse e la ricerca, essere maniaci dello studio è ben altra cosa!
La musica è fatta anche di cose che non si conoscono ma che si sentono e si percepiscono, che si suonano e che non si possono spiegare. Non possiamo sapere tutto e non possiamo essere invincibili o i numeri uno tecnicamente; ci sarà sempre qualcuno più veloce di noi. Quindi, entrare in questo vortice ammazzandoci di studio e soffrire quando per un giorno non riusciamo ad applicarci è sbagliato! Cito una frase bellissima tratta dal film "Mr. Holland Opus": "II troppo studio danneggia l'anima".
Come facciamo a sorprenderei se sappiamo tutto? Ammesso che sia possibile! L'applicazione deve essere una cosa intima, lo dobbiamo fare per il piacere di sentire il nostro corpo tutt'uno con lo strumento il quale deve diventare un'appendice del nostro corpo che ci dona la possibilità di fare musica e di condividerla con gli altri. Fino a quando abbiamo la sensazione di avere in mano uno strumento da controllare e da dominare non potremo divertirci a fare musica. Applicarsi significa aumentare il controllo dello strumento, più lo controlliamo e più la nostra mente è libera per dedicarsi alla musica che facciamo. Gli automatismi aumentano con lo studio costante.
Cerchiamo di ottenere il massimo da noi stessi. Questo non significa che siamo obbligati a suonare tante note quando improvvisiamo, tuttavia, se il motore della nostra auto è in possesso di molti cavalli, la qualità sarà maggiore e non necessariamente dobbiamo superare i limiti di velocità! Se decidiamo di viaggiare a 50 km l'ora la nostra auto ci darà affidabilità e non farà nessuna fatica, insomma, viaggiamo rilassati!

Il Metronomo

L'uso del metronomo è BASILARE. Gli esercizi vanno affrontati sempre ad una velocità ridotta per poi aumentarli gradualmente. Posizionare il metronomo sul secondo e sul quarto movimento, se suoniamo in 4/4, è più swingante. Se suoniamo in 3/4 mettiamolo sul primo quarto o su tutti. Quando studiamo un passaggio impegnativo generalmente tendiamo ad accelerare, quindi, mentre eseguiamo il passo facciamo un'accelerazione naturale di alcune tacche di metronomo senza accorgercene. Quando decidiamo di aumentare la velocità per la seconda "studiata" senza utilizzare il metronomo, a orecchio diciamo, aumentiamo troppo la velocità. In questa maniera la gradualità di studio è persa!

Posizioniamo quindi il metronomo ad una velocità che ci permetta di eseguire tutto l'esercizio senza problemi; quando ci sentiamo sicuri possiamo aumentare di una tacca e rifare tutto da capo e così via fino ad arrivare alla nostra massima velocità. Più lenti partiremo e più veloci andremo. Ci sembrerà di suonare sempre alla stessa velocità perché il passaggio di una tacca di metronomo è quasi impercettibile. Così facendo l'esercizio sarà assimilato perfettamente. Se nell'esercizio vi è un passaggio che non risulta perfetto come gli altri, isoliamolo e facciamo lo stesso lavoro solo su quelle poche note. Se ci segniamo la velocità alla quale siamo arrivati, il giorno dopo potremo tentare di battere il nostro "record" personale ma solo dopo aver ricominciato l'esercizio partendo dall'inizio, tacca dopo tacca. Ripeto, non dobbiamo avere fretta!

Posizione (per clarinettisti e sassofonisti)

Durante lo studio cercate di non far compiere alle dita troppa escursione e di non pigiarle troppo contro le chiavi. Cosi eviterete danneggiamenti ed irrigidimenti alle nervature e nel contempo lo studio sarà assimilato meglio. Tra l'altro stando leggeri sui buchi del clarinetto potrete sentire la vibrazione delle note sotto i vostri polpastrelli, è molto piacevole e stimolante! Cerchiamo di non spostare i polsi, spalle o quant'altro mentre studiamo, meno spostamenti facciamo e più saremo precisi. È sempre consigliabile studiare nella posizione da concerto, nel mio caso in piedi. Quando sono molto stanco mi siedo ma evito di appoggiare lo strumento sulla gamba.

Il suono

Il suono è un'onda elastica, ha bisogno di un mezzo per propagarsi (aria, acqua ecc.) e di una sorgente (corpo vibrante). Quindi, il suono è un modo di trasmissione di energia meccanica che, irradiandosi dalla sorgente attraverso un mezzo di propagazione arriva ai corpi riceventi. Un suono è tanto più forte quanto è l'ampiezza delle oscillazioni della sorgente che lo genera. È la grandezza che permette di distinguere i suoni deboli da quelli forti.
Il timbro invece rappresenta la qualità del suono e dipende essenzialmente dalla sua forma d'onda. Permette di distinguere suoni da sorgenti diverse, anche se hanno la stessa frequenza e la medesima intensità. Ogni strumento musicale ha un timbro diverso ma anche tra strumenti dello stesso tipo (due clarinetti per esempio) ci possono essere timbri diversi. Con un adeguato studio possiamo intervenire su queste caratteristiche, modificando il timbro del nostro strumento e controllandone l'intensità, il volume.
Il risultato che dobbiamo conseguire è quello di avere un suono più armonico possibìle; più armonici possiede il nostro suono e più la qualità e l'incisività aumentano. E di avere un volume (intensità) consistente. Per il volume vale il discorso fatto riguardo alla velocità di esecuzione, tecnica e meccanica: non necessariamente se abbiamo un grande volume di suono siamo obbligati a suonare forte. Tuttavia se dessimo un valore al nostro volume massimo, per esempio 100, significa che a 70 avremmo il controllo del suono senza fare particolari sforzi. Per contro, se il nostro volume massimo fosse 60, a 50 saremmo quasi al massimo. Personalmente credo che il suono debba essere più personale possibile.
Tutti gli strumenti hanno un loro classico suono dal quale non possiamo prescindere, almeno completamente. Ciò non toglie che ogni musicista possa trovare una sonorità vicina alla sua personalità e alla sua sensibilità. Il suono del clarinettista Benny Goodman era molto classico e cristallino, mentre quello di Jimmy Giuffre era il contrario, molto soffiato ed intenso. Entrambi riconoscibili nel timbro del clarinetto.
Se possiamo ottenere diverse sonorità con un solo strumento è giusto farlo. Un cantante non ha solo un timbro, può cantare gridando, sussurrando, in maniera rauca, facendo uscire una voce nasale o renderla più ricca. Ci sono musicisti che si indignano sentendo uno strumento che si allontana dai canoni ortodossi del suo timbro. E poi, chi se la sente di dire qual è il vero suono di uno strumento? A mio avviso anche nella musica classica ci si dovrebbe muovere verso nuove sonorità anzichè restare aggrappati al suono "classico".
Questo è già stato fatto da molti compositori di musica contemporanea, con alcuni dei quali ho avuto la fortuna di collaborare. Quando Mozart nel 1791 componeva il concerto in LA maggiore per clarinetto e orchestra, s'ispirava al timbro del clarinetto che sentiva allora. Se fosse ancora in vita mi piacerebbe chiedergli se avesse continuato a far suonare il suo concerto con lo stesso suono di clarinetto! Probabilmente, visto che era un ragazzo sveglio, sarebbe affascinato da tutte le sonorità che si sono ottenute dopo la sua scomparsa!
Consiglio a tutti coloro che suonano strumenti a fiato ed a cantanti di osservare una correttissima respirazione diaframmatica, un argomento al quale bisognerebbe dedicare molte pagine per la sua grandissima importanza.

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